Il mandala nasce come strumento di meditazione e le sue radici si perdono nella storia del subcontinente indiano. Nel mondo occidentale abbiamo molte forme mandaliche che oggi comunemente chiamiamo mandala perché condividono il suo stesso obiettivo, mettere l’anima del pensatore, del pellegrino, del fedele, dell’essere umano in contatto con il divino. Un divino che è tanto dentro quanto fuori da se stesso. Per questo motivo il mandala ha richiamato l’attenzione dello psichiatra svizzero C.G. Jung il quale all’inizio della sua scoperta non sapendo cosa fossero e quali potenzialità avessero quei disegni scaturiti dalla sua interiorità rimase sorpreso e molto incuriosito fino a quando non entrò in contatto con la cultura orientale. E iniziò un percorso di teoria e pratica che lo portò a disegnare lui stesso dei mandala tra il 1916 e il 1920 che trovarono una prima collocazione nei cosiddetti libri neri, i suoi taccuini, poi una ricostruzione coerente e codificata nel Libro Rosso, da pochi anni pubblicato ad uso del pubblico e non solo degli esperti.
Il mandala è un’esperienza che ciascuno può fare della propria realtà psichica e della propria spiritualità. È un viaggio interiore che ci mette in comunicazione con il cosmo, la natura di ogni elemento e ogni nostro legame con la realtà e la spiritualità.
Il percorso che si inizia quando ci accingiamo a colorare un mandala mette in comunicazione il nostro quotidiano con le nostre paure, le ansie, i conflitti irrisolti e in qualche modo li riordina.
Non a caso, una delle più interessanti definizioni di mandala è proprio data da C. G. Jung “…L’archetipo che ne è costellato rappresenta uno stato ordinatore che si sovrappone in qual modo al caos psichico come una trama psicologica, rispettivamente un cerchio suddiviso in quattro, grazie al quale ogni contenuto riceve il proprio posto e il tutto che tende a dissolversi nell’indefinito mantiene la sua coesione grazie al cerchio”.
Il cerchio è una delle forme geometriche più diffuse nel mondo, una delle traduzioni della parola sanscrita mandala è “cerchio sacro”. Gli esseri umani fin dai tempi arcaici ne sono affascinati; la ruota è la più rivoluzionaria invenzione tecnologica dell’umanità, come lo studio degli astri lo è per quella spirituale; per migliaia di anni le forme circolari sono state la base di ogni forma sacra e i perfino i bambini nei loro primi disegni tendono a creare forme circolari. Esprimendo in modo diretto e senza filtri che questa forma sia la prima testimonianza dell’espressione del Sé.
Anche la letteratura e la mitologia sono piene di esempi, Re Artù scelse per rappresentare il suo concetto di potere la Tavola Rotonda perché partecipa della totalità, dell’unità, dell’insieme e pur tuttavia non annulla l’individuo. Così nel mandala l’Uno si ritrova costituito dai Molti, e i Molti sono una parte dell’Uno. Mandandoci un messaggio di unificazione.
Il labirinto e il rosone delle chiese gotiche sono una espressione dell’arte e della spiritualità occidentale che nel cerchio si rigenera e si mette in contatto con il mondo trascendente. Sono simboli importanti dell’armonia e della costruzione del Creato.
Una seconda traduzione per la parola mandala è “contenitore di simboli”, sempre secondo la visione junghiana del mandala il cerchio permette all’inconscio di manifestarsi attraverso il simbolo che è il suo linguaggio preferito e il processo di individuazione comprende il simbolo e i suoi significati nel percorso di consapevolezza del sé.
Nel mandala tradizionale il simbolo ha una valenza fortissima, il mandala tibetano segue regole antiche e rigide nella sua costruzione e al suo interno gli emblemi hanno una precisa collocazione e un significato altrettanto importante e codificato. Il mandala parla della manifestazione spirituale del Buddha e delle sue “virtù”, invocate per sostenere il praticante nel quotidiano, della relazione tra l’essere umano e l’universo spirituale, è una cosmologia ed è un grandissimo strumento di meditazione. La sua creazione richiede pazienza, concentrazione, conoscenza e umiltà tutte caratteristiche che trasferite nel quotidiano consentono di superare ansie, ridimensionare paure riportando “armonia” e benessere, in altre parole portano sulla strada dell’Illuminazione, lo stato di perfetta pienezza e consapevolezza.
Parallelamente quando si colora un mandala individuale si entra spontaneamente in una sorta di “meditazione” che rilassa, genera armonia e benessere. Anche se ad oggi i progetti scientifici e di studio sul mandala e la terapia sono ancora pochi e lasciati molto all’iniziativa personale di medici illuminati e psicoterapeuti interessati è universalmente riconosciuto il potere di questo “psicocosmogramma” (si veda G. Tucci) va oltre la ricerca del simbolo e oltre ogni tentativo di creare un codice di codificazione uguale per tutti nonostante le sperimentazioni e i metodi di Joan Kellogg negli anni ’70, Stanislaw Groff e Rudiger Dahlke negli anni ’80 e Susanne Fincher negli anni ’90.
Tutti questi percorsi e strumenti molto interessanti ma il mandala ha una sua natura particolare che oscilla tra il mondo della psiche e quello dell’arte, include una filosofia e una pratica di vita dalla quale non può prescindere. È espressione di arte spirituale in cui sono previsti i singoli e minimi dettagli e per questo motivo diventa una struttura filosofica ed espressione di un modus vivendi, è un oggetto sacro e venerato come in Occidente le reliquie dei santi, gli si attribuiscono capacità taumaturgiche e il solo fatto di poterli osservare genera un effetto benefico e rilassante. Questo perché i colori, le linee, le forme e le energie di cui è depositario contribuiscono alla sua forza evocativa e universale e ne fanno un valido aiuto nell’esperienza che riflette l’essenza di chi noi siamo proprio “qui e ora”.
Fonte originale: Mandalaweb.info – https://sites.google.com/a/mandalaweb.info/web/approfondimenti/news/mandalaarteeterapia