Il brano che segue e’ tratto da uno scritto gentilmente concesso della dr.ssa prof.ssa Viviana Vivarelli e’ una introduzione al significato del mandala e alla lettura junghiana dei sogni. Ci siamo incontrate 2- 3 anni fa per caso senza sapere che entrambe avevamo la passione per il mandala e poi e’ saltato fuori l’argomento forse in quel momento abbiamo capito perche’ ci eravamo trovate tanto in sintonia parlando tra noi… sincronie direbbe Jung. Per contattare la dr.ssa Vivarelli e per maggiori informazioni questo e’ il suo sito Masadaweb.org Per leggere l’intero scritto aprire l’allegato infondo alla pagina. IL MANDALA- KHILKOR* “…sognai un cerchio di donne accoccolate in una grande sala, con le braccia allungate verso il centro come per un rito” (V.) “..ero nel cortile di un palazzo orientale, attorno si aprivano le porte di tutte le sale, e al centro c’era una vasca circolare, mi sentivo in profonda pace e bellezza.” (sogno di Enzo) “…tutte le strade finivano in un luogo rotondo, là io mi sentii al termine del mio cammino” (sogno di Laura) “Tu sei la casa e l’abitante della casa” (Testo lamaista) Quando le energie si riuniscono in modo armonioso, si apre la via verso il Sé [1]. Affiora il grande archetipo dell’integrazione con i suoi simboli. La crescita ideale viene mostrata, nel sogno, nella visione e nell’arte, attraverso una immagine costante: il MANDALA, l’immagine del Sé. Il mandala non è una immagine creata dalle religioni o dai riti o dall’arte, il mandala appare come sogno, o segno o visione. Esso è un disegno, che mostra una struttura concentrica e simmetrica in cui appaiono alcune forme geometriche costanti come il cerchio o il quadrato. Al centro può essere un fiore, una rosa, una stella o una immagine rituale come il loto quadrilobato (padma) o il Buddha. Nell’Apocalisse la Gerusalemme celeste è un mandala che ha nel suo centro l’agnello del Cristo. Il mandala lamaista è uno spazio sacro attorno a uno stupa quadrato, in cui si gira ritualmente verso destra, in senso orario, seguendo il moto che va verso est o alba o luce, mentre il verso opposto va verso l’ombra e la morte. Così nasce la svastica destrorsa o luminosa che si contrappone a quella sinistrorsa o mortale. Il mandala è un simbolo astratto che appare alla coscienza per forza propria o viene realizzato come compito o percorso, è uno spazio sacro (temenos) a forma di cuore, piazza, città, giardino, palazzo, fortezza, castello, finestra, fiore… In sogno il mandala può apparire personificato: il vecchio saggio, il bambino divino, la guida spirituale, l’amico, l’animale totem, l’angelo… Non è solo un indicatore astratto, ma una energia che rappresenta la vera conoscenza sapienziale, ciò che in noi sa cosa siamo, dove andiamo e cosa cerchiamo, il nostro centro esistenziale, la guida e il tutore, il senso segreto e la ricerca, una intelligenza che ha a che fare col divino e che si accompagna a simboli o sensi sacri. Per tutte queste cose, il mandala rappresenta il Sé. Secondo Jung, non è la religione a inventare il sacro, ma è il sacro a proiettarsi in forme religiose. Ognuna si manifesta nell’umano, e dunque è permanente, ma promana da qualcosa di extraumano, e dunque è eterna. Il Sé è il centro divino della psiche, sovraordinato, profondo e ignoto, verso cui avanziamo senza saperlo e il mandala lo rappresenta, per cui lavorare sul mandala ha il fondamento di una meditazione e aiuta ad armonizzare la psiche. In Oriente il mandala è una figura fissa per tradizione, disegnata, dipinta o raffigurata secondo coreografie rituali. Nel lamaismo e nello yoga tantrico il mandala è considerato un dmigs-pa, immagine mentale, che sorge da sola nella mente di un lama evoluto, e viene usata come circolo rituale-magico o strumento di contemplazione. Ma secondo Jung anche la psiche disturbata produce un suo mandala di riallineamento: “Il vero mandala è una immagine mentale costruita dall’immaginazione attiva, quando è presente un disturbo dell’equilibrio psichico o quando si produce un pensiero nuovo”. I mandala sono antichi quanto l’uomo, si manifestano già nel paleolitico, sono universali, ma assumono valenza religiosa soprattutto nel lamaismo tibetano e nello yoga tantrico. In Occidente possono apparire in sogni speciali o straordinari, come messaggi che il Sé ci manda per indurci a non perdere la via. La nostra vita segue un progetto, il modello che il Sé aveva in serbo per noi, difficilmente lo seguiamo. Quando uno non vive in armonia col Sé è come un albero che cresce fuori dal suo disegno naturale; il sintomo più diffuso di questa distorsione è l’inquietudine, che si manifesta come insoddisfazione, angoscia, solitudine, desiderio o mancanza. L’inquietudine è il principale sintomo nevrotico, S Agostino la chiama ‘il segno di Dio’, dice: Dio ti chiama al tuo progetto ma tu sei sordo e Dio allora ti manda l’inquietudine, affinché tu cominci a cercare la centralità della tua anima. Lo stato d’animo negativo è l’energia che non trova la sua strada e rende spostati o maniacali, svogliati o iperattivi, depressi o aggressivi, frigidi o ipersessuali, sempre fuori dal proprio centro, in eccesso o in difetto, vuoti o saturi, lontani dall’asse originario. Quando non camminiamo sulla via del Sé, l’inconscio ci avverte con sintomi di malattia, sofferenza o malessere. Nella prima parte della vita il compito dell’uomo è l’adattamento biologico, il progetto delle prime funzioni: diventare autonomi, innamorarsi, trovare un lavoro, realizzarsi nella società, mettere su casa, avere figli… Poi il Sé ci chiama a compiti più interiori, spirituali, chiede di sviluppare la saggezza, di scioglierci dall’egoismo. Noi siamo fatti di molti, ma ci viene chiesto di cercare l’Uno. Ogni uomo è una scheggia di vita che per lungo tempo sostenta se stessa, poi viene il momento in cui le limitazioni della singolarità devono cadere ed egli deve inserire la sua vita in un orizzonte più alto e più ampio. Per questo il Sé non è solo la nostra realizzazione specifica, è anche il nostro progetto in relazione col Tutto, la vita che si riunisce a se stessa mediante noi. Come dice Gibran: “Solo ieri pensavo di essere un frammento che turbina impazzito nella sfera della vita./Ora so di essere io la sfera e che tutta la vita, in ritmici frammenti, si muove in me”. La seconda metà della vita dovrebbe essere dunque il tempo dell’anima. Jung non è solo uno psichiatra, è’ un cercatore, la ricerca lo porta a viaggiare in mondi paralleli, come uno sciamano che attraverso mondi, che deve oltrepassare i confini della coscienza e permettere all’inconscio di manifestarsi: sogni notturni, lucidi, meditazione, attività immaginative, gioco, drammatizzazione, psicodramma, pittura, scultura, muratura, giardinaggio, narrazione, diario, poesia, danza, nuoto, natura, paranormale… Quando il viaggio sciamanico comincia, Jung si rende conto di aver aperto la porta a qualcosa di grande di fronte a cui la coscienza è impreparata. Quando accetta di immergersi totalmente nell’inconscio collettivo, emerge un caos immaginativo fuori misura; l’inconscio è come un mare infinito che le dighe della coscienza trattengono a mala pena, e che, aperto il varco, può sommergerci in un’onda gigantesca di contenuti, forme e colori, senza curarsi delle nostre possibilità di contenimento, invadendo anche il reale quotidiano. L’energia in arrivo può essere come un’alluvione. Per questo le antiche discipline esoteriche chiedevano un maestro che facesse da protezione e schermo. L’esondazione dell’inconscio comporta pericoli di grande dispersione psichica, sia perché i nuovi contenuti sono alieni alla coscienza sia perché l’inconscio è un caos senza centro. Jung pensa che si debba porre un punto di stabilità per non disgregare la psiche e questo punto è proprio il Sé. Nel difficile viaggio interiore Jung è solo, senza maestri o guide, e rischia la dispersione, la schizofrenia, si salva per l’aderenza ai suoi doveri quotidiani, il lavoro, la moglie, i figli, i pazienti, i libri, il focolare, la terra, la pesca, la pietra… tutto ciò che lo fa aderire al tangibile, per cui egli vive su un doppio binario, la vita ordinaria del suo lavoro e degli affetti e quella parallela della ricerca profonda; gli sono d’aiuto lo yoga, che pratica da sempre, il lavoro manuale e creativo che è per lui una forma di meditazione, il contatto con la natura, e infine le guide interiori che vengono dal suo stesso inconscio per aiutarlo. Il centro della psiche è il mandala, via di meditazione e di organizzazione, struttura centrata e simmetrica, che usa forme astratte per rappresentare la centralità e la stabilità, e poi simboli, sia universali che individuali, raffigurazione ordinata e bilanciata attorno a un centro, punto di partenza e di arrivo, forma che può essere grafica, cromatica, architettonica, narrativa, coreografica… una delle più antiche e misteriose strutture di tutti i tempi, presente presso tutte le culture. Il mandala è uno psicogramma, cioè un disegno che esprime la psiche così come essa è nella situazione attuale, per cui è strumento diagnostico, meta e matrice. Allo stesso tempo esso è un cosmogramma, perché manifesta l’energia superiore che muove ogni dinamica della vita. Jung disegna il suo primo mandala nel 1916, a 41 anni, usando la forma più semplice (un cerchio col centro); ogni mattina studia la simmetria o meno del disegno che fa su una pagina di taccuino come indicatore del suo equilibrio psichico; quando è in preda a emozioni, il cerchio risulta alterato; se è in armonia con se stesso, è armonioso. Quanto più c’è equilibrio e bellezza, tanto più la psiche sta bene e si manifesta bene. Il mandala è una raffigurazione elementare, una monade, che indica una tappa positiva sul cammino dell’integrazione, verso la totalità. Un cerchio con un punto in mezzo su un cartoncino bianco rappresenta la forma più semplice del mandala, buono da fissare per entrare in meditazione. Il centro focalizza l’attenzione, pacifica e mette ordine. I mandala compaiono in tutte le religioni perché da sempre il cerchio è simbolo di Dio e dell’infinito. Nella mitologia egizia il cerchio è il simbolo del cosmo, mentre nelle tradizioni asiatiche, africane o europee è l’espressione della creazione. Simbolicamente il cerchio è collegato all’infinito, a qualcosa che esisterà per sempre. L’immagine dell’uroboro, il serpente che si mangia la coda, esprime questo concetto di continuità, di ciclo di vita che si perpetua, di continuo cambiamento. L’immagine organizzata attorno ad un punto centrale è una struttura profondamente radicata nell’inconscio dell’uomo, è la forza centrifuga che spinge il bambino alla sperimentazione nel mondo esterno e la forza centripeta che riporta l’adulto all’introspezione nel mondo interno. I disegni dei bambini dai tre ai cinque anni contengono forme mandaliche qualunque sia la loro provenienza culturale (soli, visi, lune, croci all’interno di cerchi ecc.). Il mandala evoca l’idea di un rituale, procedimento usato per conseguire un risultato d’anima. Jung studia i mandala per 20 anni, li scopre in ogni cultura, negli arcaici popoli dell’Africa, negli aborigeni australiani, nelle tribù dei nativi americani, nelle visioni dei mistici medievali, nelle formule degli alchimisti rinascimentali, nei disegni dei saggi cinesi o dei monaci tibetani, nelle allucinazioni dei malati di mente, nei sogni straordinari… note: *Khilkor e’ la parola tibetana con cui si indica il cerchio magico o il disegno geometrico del mandala [1] A coloro che restano aderenti all’esteriorità e seguono diete o discipline e fanno viaggi e corsi, senza però rivolgersi alla propria anima Jung dice: “Per loro l’anima diventa quella Nazareth da cui non può nascere nulla di buono, per questo la si cerca ai 4 venti e quanto più è lontana e bizzarra tanto meglio è |
Pubblicato su www.mandalaweb.info da Annalisa Ippolito, il 20 lug 2009